Questo cavaliere è già un cult, un articolo su Demian

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Rob1967
view post Posted on 16/11/2006, 19:45




Ciao a tutti.
Posto qui (ma se la sezione non è adatta, spostatelo dove lo riterrete più opportuno) un mio articolo su Demian scritto per Il Secolo d'Italia.
PS. Naturalmente consideratemi un demianiano (non dalemiano :P )

(un saluto particolare a Pasquale :) )

Questo cavaliere è già un cult


Un fenomeno editoriale come non se ne vedevano da un pezzo in un mondo, quale quello delle “nuvolette parlanti”, schiacciato a tenaglia tra l’invasione dei videogiochi e del multimediale e le diminuite possibilità di spesa degli italiani e dei giovani in particolare. Demian, seconda miniserie della Sergio Bonelli Editore (dopo Brad Barron di Tito Faraci, appena conclusasi) nata nel maggio 2006 e giunta al suo settimo episodio (La stella di Algeri, in edicola da pochi giorni), si è rivelata un vero e proprio successo, a dimostrazione di come il fumetto popolare sappia ancora rivolgersi a tutti, dal bambino di dieci anni all’adulto, lungi dall’esaurire la capacità di offrire emozioni.
Dopo una partenza boom di ben 70.000 copie vendute, Demian, romanzo a fumetti in diciotto capitoli, si è assestato sulla più che lusinghiera soglia di 50.000 albi ad uscita, numeri che vanno ben oltre la soglia di pareggio della Bonelli e hanno finito per superare - probabilmente - le aspettative della casa editrice milanese. L’unico a crederci fino in fondo è stato l’ideatore e sceneggiatore della collana, il papà di Demian, Pasquale Ruju. Quarantacinquenne sardo trapiantato a Torino, architetto, Ruju è un artista dal talento poliedrico: attore, doppiatore, negli ultimi dieci anni si è affermato come sceneggiatore di punta di Dylan Dog, personaggio per il quale ha già scritto oltre sessanta tra gli episodi più belli dell’indagatore dell’incubo.
Con lui abbiamo scambiato qualche battuta sulla sua creatura, scoprendo una persona affabile e affinità culturali. Partiamo da Demian, il protagonista: muscoloso trentenne dal nome rigorosamente bretone, biondo caucasico con occhi viola. «Inizialmente doveva avere il volto del fascinoso Vincent Perez, l’attore francese de Il Corvo 2, ma poi, insieme con il copertinista Alessandro Poli, abbiamo dato a Demian una fisionomia tutta sua, che può ricordare l’Achille di Brad Pitt in Troy, ma non si basa su somiglianze strette». A differenza di altri anti-eroi della produzione bonelliana, non è un detective né un poliziotto, tanto meno un ribelle o un idealista, ma «un eroe classico, un monaco guerriero, un cavaliere di ventura, anche se al posto del cavallo ha una fiammante Ducati 999R da 150 cavalli – spiega Ruju – è un eroe sradicato nato in un’epoca sbagliata, che si trova a vivere in un contesto che non di rado origina episodi di violenza incontrollabile, esattamente come accade nella realtà, in un mondo dove nessuno è davvero innocente e la sfumatura tra buoni e cattivi è meno netta, circostanza che rende molto più complesso il ruolo dell’eroe». Questa condizione di estraneità lo rende un personaggio inquieto, in perenne sbandamento nonostante abbia un preciso quanto personale codice morale. Sul petto ha una cicatrice a forma di spada, «simbolo di una leggendaria casta di cavalieri, stirpe di eroi le cui origini si perdono nella notte dei tempi». Appartiene a una misteriosa “Fraternité”, di cui è uno degli ultimi rimasti, ed ha una ignota missione da compiere. Di lui si sa solo che è un «duro dal temperamento romantico», ama leggere poesie e gustare i piccoli piaceri della vita perché «non si può essere eroi ventiquattro ore al giorno». Altro (ancora) non si sa, se non che è un rinnegato, un ex soldato che i malviventi vorrebbero vedere morto.
Il genere, pur rimanendo saldamente nel solco bonelliano del fumetto d’avventura, è un «noir contaminato», un’abile alchimia narrativa che trae la sua originalità dal taglio fortemente cinematografico e da una location estremamente suggestiva: una Marsiglia per certi versi immaginaria ma nella quale si riconoscono le dinamiche della città reale, comuni ad altre città mediterranee. Marsiglia non a caso è la versione europea della gangster city per eccellenza, vale a dire la Chicago dei ruggenti anni Venti e Trenta. Nella storia, accanto al classico milieu rappresentato da duri in gessato e con i borsalino a tesa larga resi celebri al cinema da Alain Delon e Jean Paul Belmondo e dai bulli col revolver fumante, interpretati con mirabile ironia negli anni Cinquanta dal nostro Fred Buscaglione, vivono e vegetano organizzazioni criminali ben più spietate, che si alimentano con i traffici illeciti caratteristici della metropoli tentacolare. Il tutto è reso in maniera coinvolgente da una sceneggiatura cruda ed efficace alla Quentin Tarantino, capace di passare da lunghi piani sequenza dialogati a montaggi frenetici nei quali si susseguono scontri a fuoco e inseguimenti a tutta velocità. E per Demian non c’è più tempo né per parlare né per pensare.
«Le mie fonti di ispirazione – ci ha raccontato Ruju – sono letterarie e cinematografiche, dai libri “polar” di Jean-Patrick Manchette e Jean-Claude Izzo (uno dei personaggi dell’albo numero 2 richiama Fabio Montale, protagonista della trilogia izziana) all’ottimo Duri a Marsiglia di Gian Carlo Fusco, sino al grande cinema d’azione di Luc Besson con i suoi Nikita e Léon, e di Michael Mann, Heat La sfida e Collateral, per arrivare al mitico Ronin con Robert De Niro e Jean Reno».
La scelta di ambientare le storie nella città provenzale nasce dall’idea di «farne un fumetto compiutamente europeo, lontano dagli stereotipi statunitensi, di far muovere l’eroe in mezzo a paesaggi, odori, sapori, lingue e mentalità più vicine a noi». Pur essendo Demian un personaggio immerso nella modernità, si è preferito tenerlo fuori dall’attualità politica italiana, tanto che nei suoi viaggi tra Marsiglia, Parigi, Barcellona, la Corsica e il Nord Africa non toccherà mai suolo italiano. Una decisione ragionata: «Non amo i fumetti che tentano di educare i lettori, o di far prendere loro una posizione politica, quale che sia. Per me il fumetto popolare è soprattutto intrattenimento». Rispondendo alla nostra scherzosa provocazione, di come Demian tocchi temi capaci di infiammare l’immaginario di una destra diffusa, Ruju sottolinea come personalmente abbia simpatie di sinistra, ma anche un padre orgogliosamente di destra, concludendo che «certi valori, come il coraggio, dovrebbero essere comuni a tutti». Ma il vero punto forza della collana, spiega Pasquale è «la coralità del racconto. Non c’è - come accade in altre serie - il protagonista affiancato ¬da una spalla comica. Gli altri personaggi sono veri e propri comprimari». Il miglior amico di Demian, il contrabbandiere Gaston Velasco, furfante vecchia maniera «che sa ancora rischiare la vita per un amico», ad esempio, «altri non è che lo Yanez straordinariamente interpretato da Philippe Leroy». Ruju, salgariano impenitente, ne ha fatto un personaggio altrettanto affascinante, «né buono né cattivo, più furbo e scafato, capace di fare cose che Demian non può fare». Nell’albo appena arrivato in edicola viene rivelato il passato di Gaston e il personaggio diventerà sempre più il coprotagonista di una serie che, pur procedendo con episodi autoconcludenti (che, a differenza del classico taglio da 98 pagine, ne contano ben 132, con più polpa per i lettori ad un sovrapprezzo di soli 50 centesimi), prosegue per rivelazioni progressive e sviluppa una macrotrama che si concluderà solo nell’ultimo albo. Altro personaggio particolare è Tristan, suo unico contatto con la “Fraternité”. «Quest’uomo misterioso, che ha qualcosa di Jean Gabin ma anche di Smoking man di XFiles, agisce al di là del bene e del male, è capace di manovrare i servizi e di gestire con spregiudicatezza le persone per portare a termine una missione che sarà svelata solo alla fine».
Misteri su misteri sui cui si arrovellano da mesi i numerosi fans di Demian, che si sono organizzati ed hanno un bel sito internet (www.demian.forumfree.net), nel quale passa spesso Pasquale per rispondere alle tante domande che gli vengono rivolte. La collana, malgrado i magnifici risultati che sta ottenendo, come stabilito sin dall’inizio, non avrà un seguito. E così la casa editrice milanese, dopo averci tolto Mister No - il numero di dicembre sarà quello finale - ci sottrarrà anche questo «eroe esoterico» al quale ci eravamo già affezionati. Confidiamo che saprà farsi perdonare, affinché la letteratura disegnata, prezioso patrimonio di cultura popolare, abbia lunga vita.

Roberto Alfatti Appetiti

da Il Secolo d'Italia di oggi
rubrica: alto gradimento
 
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view post Posted on 16/11/2006, 23:18

Il tuo Presidente operaio!

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Ciao Roberto!

3 cose:


1: E' la prima volta che qualcuno entra in un Forum postando un articolo publicato!

2: Mi ha fatto immenso piacere!

3: Hai fato pubblicita al Forum! Ma io ti adoro!

Benvenuto!
 
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view post Posted on 16/11/2006, 23:42
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KING of the Road

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ciao Roberto! sei un grande!
 
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PRuju
view post Posted on 17/11/2006, 13:01




Ciao, Roberto

uno dei migliori articoli che siano stati pubblicati sul mio "pargolo", in assoluto.
Al di là delle piccole differenze di opinione politica :B): , ancora un grosso grazie, e benvenuto nel forum!

Pasquale
 
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Rob1967
view post Posted on 17/11/2006, 14:00




Grazie a tutti per l'accoglienza.

:)

E grazie ancora a te, Pasquale, per la disponibilità.

Ieri sera mi ha chiamato Sergio Bonelli, l'articolo è piaciuto anche a lui e la cosa mi ha fatto estremamente piacere, io sono cresciuto a pane, Zagor e Mister No.

:P

E riguardo alle idee politiche, la penso come te, certi valori dovrebbero essere comuni.

PS.

Oggi Libero ha ripreso il mio articolo in un simpatico pezzo di Francesco Borgonovo a pag. 32.
Si sottolinea il successo della collana e la bravura del suo autore.
Peccato per un'inesattezza: ha parlato di demian come di una serie ormai avviata a conclusione!

:angry:

A presto!
 
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Prof. Mystère
view post Posted on 17/11/2006, 17:28




Vero. L'articolo è molto bello.
Complimenti! ;)
 
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view post Posted on 17/11/2006, 17:31
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Il Dybbuk

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Ciao Roberto, complimenti per lo splendido articolo! :B):
 
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-logan-
view post Posted on 17/11/2006, 21:40




bello l'articolo, complimenti, si vede che anche tu sei appassionato di fumetti... :D
 
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Tesla
view post Posted on 18/11/2006, 10:56




articolo molto bello. forse un tantino esagerato nei toni entusiastici: sarà gusto personale o captatio benevolentiae? (;))

CITAZIONE
Dopo una partenza boom di ben 70.000 copie vendute, Demian, romanzo a fumetti in diciotto capitoli, si è assestato sulla più che lusinghiera soglia di 50.000 albi ad uscita

mi sembra un ottimo risultato! però ti prego, Pasquale: qualunque sia l'esito complessivo delle vendite di Demian, continua a considerarlo un fumetto e non un prodotto. non fare come certi autori capaci di imperniare un'intera conferenza sul vanto delle vendite. ma cmq ne riparleremo tra mesi. e non mi sembri il tipo da trattare così il fumetto. ;)

CITAZIONE
La scelta di ambientare le storie nella città provenzale nasce dall’idea di «farne un fumetto compiutamente europeo, lontano dagli stereotipi statunitensi, di far muovere l’eroe in mezzo a paesaggi, odori, sapori, lingue e mentalità più vicine a noi».

e qsto mi sembra uno dei punti di forza di Demian! :)

CITAZIONE
nostra scherzosa provocazione, di come Demian tocchi temi capaci di infiammare l’immaginario di una destra diffusa

solo un quotidiano di destra può rovinare un articolo con simili cadute di stile! <_< e non mi riferisco alle tendenze politiche in sè e per sè, di cui è lecito parlare. ma alla discutibile necessità di parlarne in qualunque genere di contesti: che bisogno c'era di ridurre Demian a una diatriba tra destra e sinistra, anche se scherzosa? come certi luoghi comuni: lo spinello è di sinistra e il rigo di coca è di destra; la minestrina è di destra e il minestrone è di sinistra... ma dai! da certi contesti la politica deve stare fuori: ad esempio lo sport (le curve sono fin troppo politicizzate), le arti, la letteratura popolare. probabilmente la risposta sarà: si trattava di una scherzosa provocazione. certo, ma che bisogno c'era di farla? non credo che un giornalista di Repubblica sentirebbe mai il bisogno di chiedere a un autore se il suo personaggio è di destra o sinistra. credo che sia un complesso di inferiorità degli intellettuali di destra.
ovviamente con tutto il rispetto per il Suo lavoro, Sig. Alfatti Appetiti. lavoro che resta in ogni caso molto godibile. e utile sia per Demian sia per il forum! ;)

 
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ink
view post Posted on 18/11/2006, 11:45




CITAZIONE
non credo che un giornalista di Repubblica sentirebbe mai il bisogno di chiedere a un autore se il suo personaggio è di destra o sinistra. credo che sia un complesso di inferiorità degli intellettuali di destra.

sinceramente non so quanto sia vero quello che scrivi: giornali di destra e sinistra riescono ad essere imprecisi, scorretti o altro più o meno in egual modo. leggete questo simpatico articolo di michele medda:

LA STAMPA E' MORTA

- Lei ha qualche hobby?
- Sì. Colleziono muffe, spore e funghi.
- Io invece adoro leggere. A lei piace leggere?
- La stampa è morta.

(Annie Potts e Harold Ramis in Ghostbusters)

E' osservando i Grandi che impari. Impari non solo il mestiere. Impari come va il mondo in generale. Io ho imparato molto osservando uno dei miei maestri, tornato alla scrittura dopo anni di silenzio. Per esempio, ho imparato che per farsi intervistare da un giornale occorre essere stati intervistati da un giornale.
Mi spiego: basta essere intervistati una volta per essere intervistati due, dieci, venti volte, fino a dover dire di no all'ennesimo intervistatore che ti chiede: “Come è nato il suo personaggio?”
Siamo logici: dopo la quinta intervista di fila, che cosa puoi dire di nuovo?

Nella mia ingenuità ho sempre pensato che il massimo per un giornalista fosse lo scoop. Un'intervista inedita. Arrivare primi su un argomento di qualsiasi tipo: politica, cronaca, attualità. Mi sbagliavo. Il giornalista non pensa: “Già dieci colleghi hanno intervistato Tizio, quindi io andrò a cercare Caio per un'intervista in esclusiva.”
Il giornalista pensa: “Già dieci colleghi hanno intervistato Tizio, quindi lo farò anch'io.”

Un'altra cosa che ho imparato è che per scrivere su un giornale non occorre avere scritto articoli per un giornale, ma semplicemente essere apparso sui giornali, a qualsiasi titolo.
Così, se uno scrittore di fumetti è apparso sui giornali (in quanto “autore di successo”), può benissimo essere chiamato a collaborare a un magazine per una rubrica di astronomia. Certo, lo scrittore in questione non sa niente di astronomia, e ci tiene a precisarlo. Lui scrive fumetti. A questo punto il redattore del giornale sbuffa. Quante storie, ragazzo. Per scrivere scrivi, no? E allora, fumetti, astronomia, che differenza fa?

Intendiamoci: dopotutto, qualche giustificazione quel redattore ce l'ha. Alla fine, uno scrittore di fumetti è pur sempre uno che scrive, e si guadagna da vivere mettendo tante parole in fila.
Trovo più difficile giustificare il fatto che rubriche, editoriali, pezzi di qualsivoglia natura siano commissionati a calciatori, starlettes, presentatori televisivi, cuochi, visagisti. Però, riflettiamoci su: se la qualifica è essere apparsi sui giornali (a qualunque titolo) o meglio ancora in TV, effettivamente un calciatore è molto più qualificato di me e di voi per scrivere un fondo di attualità. Lui è stato fotografato abbracciato a una velina, e voi no. E questo fa una certa differenza, ammettiamolo.

Ho imparato anche che scrivere per i giornali non è faticoso come pensavo. Nella mia ingenuità credevo che un giornalista raccogliesse la documentazione e poi scrivesse il pezzo. Non è esattamente così. Mettiamo che un giornalista sia incaricato di scrivere un articolo su un fumetto di successo. Le cose funzionano in questo modo: il giornalista chiama la casa editrice del fumetto in questione e dice: “Devo scrivere un pezzo sul vostro personaggio X, mandatemi del materiale.”
“D'accordo. Che tipo di materiale?”
“Ci servono delle illustrazioni con il personaggio.”
“Sì, ma di che tipo? Vignette? Copertine?”
“Non lo so, vedete voi. Però tenete conto che ci servono due immagini a colori, una formato 12 x 7 cm, l'altra 8 x 6,5, e anche quattro o cinque immagini in bianco e nero, meglio se c'è il personaggio che spara, il formato è un po' più grande, facciamo 14 x 10. Poi una immagine del personaggio in figura intera, e la copertina dell'albo in edicola questo mese.”
“Beh... ma se vi mandiamo un po' di albi dove scegliere...”
“E ci servono anche un po' di testi: una breve scheda di presentazione del personaggio e del suo universo, un elenco dei protagonisti principali della serie, dei nemici dell'eroe, etc...”

In parole povere, il giornalista si aspetta che il suo pezzo lo scriviate voi. L'abitudine alla marchetta si è radicata così profondamente nel tessuto connettivo della stampa che ha modificato la concezione basilare del giornalismo: gli articoli non sono scritti dai giornalisti. Sono scritti dalle persone (o dalle aziende) che hanno interesse a vederli pubblicati.

I giornali non fanno più informazione. Fanno diramazione di comunicati stampa.

Non voglio essere catastrofico, comunque. Il giornalismo esiste ancora. La prova? Gli strafalcioni. Gli strafalcioni sono la spia di articoli “veri”, scritti semplicemente perché si ritiene che ci sia un interesse generale per un determinato argomento. Per questo avrei voluto ringraziare un noto settimanale per avere scritto – in occasione dell'uscita del film Hulk – che il personaggio di Hulk era stato disegnato da Bruno Kirby. Io e voi sappiamo che Hulk è stato disegnato da Jack Kirby, mentre Bruno Kirby era un bravo caratterista (è scomparso un mese fa: tra i suoi film, Harry ti presento Sally e Scappo dalla città). Ma non stiamo a spaccare il capello in quattro. E' evidente che l'autore del pezzo nulla sapeva del fumetto, si è documentato - facendo un po' di confusione, è vero – ma alla fine ha scritto il suo bravo pezzo.

Lo strafalcione prova che quello è un articolo vero, scritto dall'autore che lo ha firmato. Perché, state tranquilli, non troverete strafalcioni negli articoli-marchetta. Il giornalista che, col pretesto del pezzo “di costume”, magnifica le virtù di un noto lettore MP3, starà bene attento a non fare errori. Leggerà attentamente il depliant dell'azienda e non sbaglierà il codice del modello né la quantità dei megabyte. Altrimenti il prossimo omaggio di quell'azienda se lo può scordare.

A questo punto qualcuno si porrà la domanda: io dei fumetti so qualcosa, sono in grado di identificare lo strafalcione nell'articolo su Hulk o sui Fantastici Quattro, e sono in grado quindi di capire che quello è un articolo “vero”. Ma come faccio a capire se c'è la marchetta in un articolo che parla di videofonini o di lettori DVX? E se invece c'è una marchetta “ideologica” in un articolo sul surriscaldamento del clima o sui vaccini? Come faccio a capire se stanno cercando di smerciarmi una verità preconfezionata?

La risposta è: non c'è modo di capirlo.

Aveva perfettamente ragione Egon Spengler, il personaggio interpretato da Harold Ramis in Ghostbusters: meglio collezionare spore, muffe e funghi. La stampa è morta.





Alcuni giorni dopo avere messo on line questo articolo, vado in redazione alla Bonelli e passo a salutare Antonio Serra; che, oltre a essere il vulcanico autore che sappiamo, è anche uno dei massimi esperti italiani della saga di Star Trek. Ed è per interpellarlo in questa veste che gli telefonano – in mia presenza – da un noto quotidiano a tiratura nazionale.

Il giornalista all'altro capo del filo chiede lumi sull' “autore di Star Trek”, John M. Ford, appena spirato.
Antonio inarca il sopracciglio. Non gli risulta che ci sia un John M. Ford autore di Star Trek. Ma gli basta digitare su Wikipedia per avere all'istante la risposta. Sì, il compianto Ford è stato autore non della serie televisiva, ma di due romanzi basati sulla serie tv.
“Allora non era un autore importante.” dice il giornalista.
“Direi proprio di no.”, risponde Antonio.
“Quindi, che dice? Facciamo una notizia breve, allora?”
“Non saprei. Scusi, non è lei che lavora al giornale?”

Aspiranti giornalisti, spero che abbiate imparato la lezione. Non fidatevi di uno scarno comunicato d'agenzia, approfondite sempre i fatti. E, soprattutto, non consultate internet. Chiamate uno che lo faccia per voi. E che possibilmente decida anche quale taglio dare al pezzo. Il caporedattore avrà sicuramente cose più importanti da fare, meglio non disturbarlo.


Michele Medda©2006
 
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AChangeOfSeasons
view post Posted on 18/11/2006, 15:15




Come ho scritto anche nel forum di Dampyr, in merito al medesimo articolo, a me (che ho idee politiche... beh diciamo un po' antitetiche con la testata da cui proviene l'articolo. Ma solo un po, eh, tipo giorno/notte...) l'articolo è piaciuto e la battuta sulla destra e la sinistra non sembrava scontata.
Sinceramente, che in un giornale si parli di fumetti, con cognizione di causa e passione, e per di più in un articolo scritto in un ottimo italiano (cosa rara nel giornalismo al giorno d'oggi, complimenti a Roberto) beh, è già molto! Si può "Perdonare" una battuta di questo tipo (in fondo è quel tipo di battuta che si può fare anche tra amici...)
 
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Rob1967
view post Posted on 18/11/2006, 15:32




CITAZIONE (Tesla @ 18/11/2006, 10:56)
articolo molto bello. forse un tantino esagerato nei toni entusiastici: sarà gusto personale o captatio benevolentiae? (;))

CITAZIONE
nostra scherzosa provocazione, di come Demian tocchi temi capaci di infiammare l’immaginario di una destra diffusa

solo un quotidiano di destra può rovinare un articolo con simili cadute di stile! <_< e non mi riferisco alle tendenze politiche in sè e per sè, di cui è lecito parlare. ma alla discutibile necessità di parlarne in qualunque genere di contesti: che bisogno c'era di ridurre Demian a una diatriba tra destra e sinistra, anche se scherzosa?
non credo che un giornalista di Repubblica sentirebbe mai il bisogno di chiedere a un autore se il suo personaggio è di destra o sinistra. credo che sia un complesso di inferiorità degli intellettuali di destra.

Ciao :)

captatio benevolentiae?
sì, per certi versi sì.

:P

la verità è che provo sincera riconoscenza nei confronti della Bonelli.
le prime letture da bambino sono state zagor e mister no, mica topolino.
e stamattina, in mezzo al corriere della sera, c'ho infilato - come di prassi - lo zagor di novembre.
quando ho saputo che mister no avrebbe chiuso, non c'ho dormito per giorni.
ho ripreso i primi albi della collezione (che ho tutta) e me li sono riletti con calma: sono un capolavoro.
ed ho scritto un lungo accorato articolo, sempre per Il Secolo d'Italia, che assomigliava ad un atto di dolore.
ho comprato il primo numero di dylan dog nell'edicola accanto alla facoltà romana di legge (ero matricola nel lontano 1986) e da allora non ne ho perso uno, mi ha fatto compagnia per tutto il corso di studi e ben oltre.
adesso gli albi dell'indagatore dell'incubo li leggono i miei figli, ne ho tre, e sanno benissimo che non devono assolutamente rovinarmeli, perchè per me rappresentano qualcosa di più che semplici fumetti, sono una parte importante della mia vita.
i toni entusiastici, pertanto, risentono (in parte) della fedeltà alle mie passioni giovanili ed anche della mia personale riconoscenza per una casa editrice che è stata importante nella mia formazione.
però... nello stesso tempo... confesso che non tutte le serie mi piacciono, alcune - specialmente tra le ultime creature - non mi appassionano affatto.
inizio a leggerle, sempre, tutte.
poi smetto.
e non ci scrivo articoli.
non mi piace la fantascienza, ad esempio
non amo particolarmente i gialli, a parte il grandissimo simenon, scerbanenco, il primo pinketts e poco altro.
non amo il western (mai letto tex, ad esempio), a parte sergio leone, naturalmente.
con demian è andata diversamente.
mi è piaciuto subito e il giudizio - andando avanti la collana - è persino migliorato.
la location, le contaminazioni di generi diversi, i personaggi, l'attualità.
a mio avviso poteva svilupparsi oltre l'arco della miniserie, ha sufficiente personalità.

la provocazione destra/sinistra era, come ho detto, scherzosa quanto esplicita, altri quotidiani indipendenti (si fa per dire) sono più sottili ma non per questo sono avulsi dal collocare politicamente il soggetto dell'articolo.

personalmente ritengo ridicola la pretesa di connotare politicamente un personaggio dei fumetti.
mi interessa di più valutarne l'impatto nell'immaginario collettivo.

grazie per questa bella "chiacchierata".

:)


CITAZIONE (AChangeOfSeasons @ 18/11/2006, 15:15)
Come ho scritto anche nel forum di Dampyr, in merito al medesimo articolo, a me (che ho idee politiche... beh diciamo un po' antitetiche con la testata da cui proviene l'articolo. Ma solo un po, eh, tipo giorno/notte...) l'articolo è piaciuto e la battuta sulla destra e la sinistra non sembrava scontata.
Sinceramente, che in un giornale si parli di fumetti, con cognizione di causa e passione, e per di più in un articolo scritto in un ottimo italiano (cosa rara nel giornalismo al giorno d'oggi, complimenti a Roberto) beh, è già molto! Si può "Perdonare" una battuta di questo tipo (in fondo è quel tipo di battuta che si può fare anche tra amici...)

Grazie :P

CITAZIONE (ink @ 18/11/2006, 11:45)
LA STAMPA E' MORTA

- Lei ha qualche hobby?
- Sì. Colleziono muffe, spore e funghi.
- Io invece adoro leggere. A lei piace leggere?
- La stampa è morta.

(Annie Potts e Harold Ramis in Ghostbusters)

E' osservando i Grandi che impari. Impari non solo il mestiere. Impari come va il mondo in generale. Io ho imparato molto osservando uno dei miei maestri, tornato alla scrittura dopo anni di silenzio. Per esempio, ho imparato che per farsi intervistare da un giornale occorre essere stati intervistati da un giornale.
Mi spiego: basta essere intervistati una volta per essere intervistati due, dieci, venti volte, fino a dover dire di no all'ennesimo intervistatore che ti chiede: “Come è nato il suo personaggio?”
Siamo logici: dopo la quinta intervista di fila, che cosa puoi dire di nuovo?

Nella mia ingenuità ho sempre pensato che il massimo per un giornalista fosse lo scoop. Un'intervista inedita. Arrivare primi su un argomento di qualsiasi tipo: politica, cronaca, attualità. Mi sbagliavo. Il giornalista non pensa: “Già dieci colleghi hanno intervistato Tizio, quindi io andrò a cercare Caio per un'intervista in esclusiva.”
Il giornalista pensa: “Già dieci colleghi hanno intervistato Tizio, quindi lo farò anch'io.”

Un'altra cosa che ho imparato è che per scrivere su un giornale non occorre avere scritto articoli per un giornale, ma semplicemente essere apparso sui giornali, a qualsiasi titolo.
Così, se uno scrittore di fumetti è apparso sui giornali (in quanto “autore di successo”), può benissimo essere chiamato a collaborare a un magazine per una rubrica di astronomia. Certo, lo scrittore in questione non sa niente di astronomia, e ci tiene a precisarlo. Lui scrive fumetti. A questo punto il redattore del giornale sbuffa. Quante storie, ragazzo. Per scrivere scrivi, no? E allora, fumetti, astronomia, che differenza fa?

Intendiamoci: dopotutto, qualche giustificazione quel redattore ce l'ha. Alla fine, uno scrittore di fumetti è pur sempre uno che scrive, e si guadagna da vivere mettendo tante parole in fila.
Trovo più difficile giustificare il fatto che rubriche, editoriali, pezzi di qualsivoglia natura siano commissionati a calciatori, starlettes, presentatori televisivi, cuochi, visagisti. Però, riflettiamoci su: se la qualifica è essere apparsi sui giornali (a qualunque titolo) o meglio ancora in TV, effettivamente un calciatore è molto più qualificato di me e di voi per scrivere un fondo di attualità. Lui è stato fotografato abbracciato a una velina, e voi no. E questo fa una certa differenza, ammettiamolo.

Ho imparato anche che scrivere per i giornali non è faticoso come pensavo. Nella mia ingenuità credevo che un giornalista raccogliesse la documentazione e poi scrivesse il pezzo. Non è esattamente così. Mettiamo che un giornalista sia incaricato di scrivere un articolo su un fumetto di successo. Le cose funzionano in questo modo: il giornalista chiama la casa editrice del fumetto in questione e dice: “Devo scrivere un pezzo sul vostro personaggio X, mandatemi del materiale.”
“D'accordo. Che tipo di materiale?”
“Ci servono delle illustrazioni con il personaggio.”
“Sì, ma di che tipo? Vignette? Copertine?”
“Non lo so, vedete voi. Però tenete conto che ci servono due immagini a colori, una formato 12 x 7 cm, l'altra 8 x 6,5, e anche quattro o cinque immagini in bianco e nero, meglio se c'è il personaggio che spara, il formato è un po' più grande, facciamo 14 x 10. Poi una immagine del personaggio in figura intera, e la copertina dell'albo in edicola questo mese.”
“Beh... ma se vi mandiamo un po' di albi dove scegliere...”
“E ci servono anche un po' di testi: una breve scheda di presentazione del personaggio e del suo universo, un elenco dei protagonisti principali della serie, dei nemici dell'eroe, etc...”

In parole povere, il giornalista si aspetta che il suo pezzo lo scriviate voi. L'abitudine alla marchetta si è radicata così profondamente nel tessuto connettivo della stampa che ha modificato la concezione basilare del giornalismo: gli articoli non sono scritti dai giornalisti. Sono scritti dalle persone (o dalle aziende) che hanno interesse a vederli pubblicati.

I giornali non fanno più informazione. Fanno diramazione di comunicati stampa.

Non voglio essere catastrofico, comunque. Il giornalismo esiste ancora. La prova? Gli strafalcioni. Gli strafalcioni sono la spia di articoli “veri”, scritti semplicemente perché si ritiene che ci sia un interesse generale per un determinato argomento. Per questo avrei voluto ringraziare un noto settimanale per avere scritto – in occasione dell'uscita del film Hulk – che il personaggio di Hulk era stato disegnato da Bruno Kirby. Io e voi sappiamo che Hulk è stato disegnato da Jack Kirby, mentre Bruno Kirby era un bravo caratterista (è scomparso un mese fa: tra i suoi film, Harry ti presento Sally e Scappo dalla città). Ma non stiamo a spaccare il capello in quattro. E' evidente che l'autore del pezzo nulla sapeva del fumetto, si è documentato - facendo un po' di confusione, è vero – ma alla fine ha scritto il suo bravo pezzo.

Lo strafalcione prova che quello è un articolo vero, scritto dall'autore che lo ha firmato. Perché, state tranquilli, non troverete strafalcioni negli articoli-marchetta. Il giornalista che, col pretesto del pezzo “di costume”, magnifica le virtù di un noto lettore MP3, starà bene attento a non fare errori. Leggerà attentamente il depliant dell'azienda e non sbaglierà il codice del modello né la quantità dei megabyte. Altrimenti il prossimo omaggio di quell'azienda se lo può scordare.

A questo punto qualcuno si porrà la domanda: io dei fumetti so qualcosa, sono in grado di identificare lo strafalcione nell'articolo su Hulk o sui Fantastici Quattro, e sono in grado quindi di capire che quello è un articolo “vero”. Ma come faccio a capire se c'è la marchetta in un articolo che parla di videofonini o di lettori DVX? E se invece c'è una marchetta “ideologica” in un articolo sul surriscaldamento del clima o sui vaccini? Come faccio a capire se stanno cercando di smerciarmi una verità preconfezionata?

La risposta è: non c'è modo di capirlo.

Aveva perfettamente ragione Egon Spengler, il personaggio interpretato da Harold Ramis in Ghostbusters: meglio collezionare spore, muffe e funghi. La stampa è morta.





Alcuni giorni dopo avere messo on line questo articolo, vado in redazione alla Bonelli e passo a salutare Antonio Serra; che, oltre a essere il vulcanico autore che sappiamo, è anche uno dei massimi esperti italiani della saga di Star Trek. Ed è per interpellarlo in questa veste che gli telefonano – in mia presenza – da un noto quotidiano a tiratura nazionale.

Il giornalista all'altro capo del filo chiede lumi sull' “autore di Star Trek”, John M. Ford, appena spirato.
Antonio inarca il sopracciglio. Non gli risulta che ci sia un John M. Ford autore di Star Trek. Ma gli basta digitare su Wikipedia per avere all'istante la risposta. Sì, il compianto Ford è stato autore non della serie televisiva, ma di due romanzi basati sulla serie tv.
“Allora non era un autore importante.” dice il giornalista.
“Direi proprio di no.”, risponde Antonio.
“Quindi, che dice? Facciamo una notizia breve, allora?”
“Non saprei. Scusi, non è lei che lavora al giornale?”

Aspiranti giornalisti, spero che abbiate imparato la lezione. Non fidatevi di uno scarno comunicato d'agenzia, approfondite sempre i fatti. E, soprattutto, non consultate internet. Chiamate uno che lo faccia per voi. E che possibilmente decida anche quale taglio dare al pezzo. Il caporedattore avrà sicuramente cose più importanti da fare, meglio non disturbarlo.


Michele Medda©2006

Questo me lo stampo, è troppo spassoso.
Devo farlo leggere a qualche mio collega.

:D :P :lol:

Edited by Rob1967 - 18/11/2006, 15:43
 
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Tesla
view post Posted on 18/11/2006, 18:40




CITAZIONE
personalmente ritengo ridicola la pretesa di connotare politicamente un personaggio dei fumetti.
mi interessa di più valutarne l'impatto nell'immaginario collettivo.

;)

grazie a Lei per la chiacchierata. a ri-sentirci! :)
 
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12 replies since 16/11/2006, 19:45   342 views
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